Willy Duarte: stavolta il Razzismo è faticoso perfino da inventare

di Stelio Fergola

Willy Duarte è morto, e la corsa a tentare di renderlo vittima del razzismo e del fascismo è stata, come di consueto, frenetica, energica, prepotente.

Colleferro: il valore del sacrificio di Willy Monteiro Duarte

Willy Duarte muore pestato a sangue da alcuni teppisti di quartiere. È di pelle scura Willy Duarte, e sono bianchi (e fanno Bianchi anche di cognome… ) i presunti aggressori, che per ora negano ogni responsabilità. Il razzismo e il fascismo vengono prepotentemente alla mente. Non per la loro esistenza, ma perché già si immagina la stampa mainstream che fa di tutto per farli sorgere dal nulla. Ma la sensazione è che stavolta ci sia poco materiale perfino per inventare.

Willy Duarte, il razzismo impossibile da tirare fuori

Willy Duarte era un ragazzo di pelle scura, come abbiamo appena detto. E a poca distanza dall’omicidio, pare l’unico elemento a cui ci si possa appellare per tirare fuori le solite manfrine sul razzismo da combattere e debellare. Ma il materiale è talmente esiguo che i giornaloni sembrano girarci intorno senza giungervi – quasi – mai.

Quasi, sia chiaro. Perché qualcuno ovviamente ci prova. Tipo i soliti artisti mainstream sui social network, che parlano della morte di Willy Duarte come frutto dell’ignoranza, “madre di ogni razzismo”. Come riporta il Messaggero: Il mondo della musica, del cinema e della televisione ha condiviso sui social il dolore del Paese per l’omicidio di Willy Monteiro. Tanti i messaggi sui social degli artisti impressionati e addolorati per il brutale assassinio del ragazzo a Colleferro. Piero Pelù scrive: “Willy ha difeso un amico ed hai incontrato la morte. Willy è stato trucidato dall’odio, dall’intolleranza e dall’ignoranza madre di ogni razzismo. Per Willy e per tutti noi voglio una giustizia giusta che sia da esempio per quei violenti che proliferano impuniti oggi in Italia, voglio una scuola, una cultura, una televisione, dei social e una politica che educhino alla curiosità ed al rispetto, non all’odio razzista”.

La novità assoluta: “la fascistità”

Qualche comico – anche di buon talento – ma di secondo piano sulla scena televisiva, prova disperatamente a fare ironia per guadagnare qualche like in più. Il “Fatto quotidiano” parla addirittura di “fascistità” da debellare, nonostante non ci sia nessun collegamento tra gli aggressori e una presunta ideologia di riferimento.

“Non c’era bisogno dei recenti fatti di cronaca, come l’omicidio di Colleferro, per capire che nel Paese è in atto, e a piede libero, una certa tendenza alla ‘fascistità’ “, sentenzia l’autore del brillantissimo articolo, supportato ovviamente da nessun dato e da alcuna analisi se non quel desiderio ormai irrefrenabile di etichettare e strumentalizzare fenomeni inesistenti.

Insomma, Willy Duarte è morto, e la corsa a tentare di renderlo vittima del razzismo e del fascismo è stata, come di consueto, frenetica. Energica, prepotente. Ma la sensazione è che si siano raggiunti meno risultati di quanti non se ne fossero conseguiti con le storie di Daisy Osakue, George Floyd e dei vari immigrati i quali, solo per il fatto di essere periti in uno scontro o essere stati oggetto di dileggio, divenivano immediatamente simbolo di un’intolleranza razziale che sussiste solo nelle menti della solita propaganda da quattro soldi. Per le figuracce c’è sempre tempo, dunque invitiamo i signori della stampa a insistere.

(*) Perché ogni volta che viene ucciso o fatto oggetto di violenza un nero si tira in ballo il razzismo, mentre se succede il contrario, nessuno parla di razzismo, anche se è cosa risaputa, ad esempio, che certi islamici considerino i cattolici inferiori e da sottomettere o da convertire in modo forzato? Fatevi qualche domanda… questo è un episodio equivalente a quello di George Floyd, preso a pretesto negli Usa per innescare un clima di violenza e portare avanti l’agenda globalista. In Italia poi si usa l’etichetta razzismo per chiudere la bocca a chiunque voglia mettere in discussione o anche solo accennare al probema dell’immigrazione di massa verso il nostro paese.

(*) nota di conoscenzealconfine

Articolo di Stelio Fergola

Fonte: https://oltrelalinea.news/2020/09/09/willy-duarte-razzismo/

LA REALTà MEDIATA
L'influenza dei mass media tra persuasione e costruzione sociale della realtà
di Enrico Cheli

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La lettura di questo libro può aiutarci a saperne un po' di più su questi grandi diffusori di informazione, di opinione e di intrattenimento, a comprendere meglio il ruolo che svolgono nella società e il tipo di conseguenze, positive e negative, che possono produrre a livello individuale, culturale, sociale. Conoscere meglio i nostri interlocutori è il presupposto base per realizzare forme di comunicazione più positive e consapevoli - e a quale interlocutore dedichiamo così tanto tempo come ai media?

L'influenza sociale dei mass media è una delle questioni più rilevanti della nostra èra. Da anni studiosi di varia estrazione disciplinare si Confrontano su questo tema dai due classici versanti degli apocalittici e degli integrati. I primi vedono nei media soltanto manipolazione, persuasione occulta, distorsione della realtà; i secondi ci rassicurano che non c'è niente da temere e che viviamo nel migliore mondo possibile. Ma, al di là di questi estremi ormai demodé, come si presenta realisticamente la situazione?

Superato lo stadio iniziale degli effetti massicci e indifferenziati (anni '20-'30) e quello intermedio degli effetti selettivi e limitati (anni '40-'60) la communication science tende oggi ad assumere una prospettiva di lungo periodo e a considerare i media primariamente come agenti del processo di costruzione sociale della realtà.

Gran parte di ciò che sappiamo su quanto avviene nel mondo ci proviene dai media, come pure da essi traiamo le informazioni sul clima d'opinione riguardante eventi, personaggi, questioni della scena pubblica. Al contempo i media investono anche la sfera privata, influenzando le credenze, i valori, i modelli di comportamento che orientano la nostra vita quotidiana, in un processo di "coltivazione" che inizia fin da bambini.

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