Per Trump cosa c’è di meglio di una Guerra per tirarsi fuori dai guai ed essere rieletto?

di Paolo Ermani

Che coincidenza incredibile! C’è un presidente in piena fase di impeachment nell’anno delle elezioni presidenziali e come per miracolo, ecco arrivare in suo soccorso la possibile guerra con l’Iran. Per sperare nella rielezione.

Nel 2011 l’attuale presidente degli USA Donald Trump affermava pubblicamente che l’allora presidente Obama voleva fare scoppiare una guerra con l’Iran per essere rieletto. Ma, ironia della sorte, Obama non ha fatto una guerra con l’Iran e invece sembra che ci riesca, provocandola direttamente, proprio il militarista convinto che crede all’uso della forza, come si autodefinisce lo stesso Trump.

Che coincidenza incredibile! C’è un presidente in piena fase di impeachment nell’anno delle elezioni presidenziali e come per miracolo ecco arrivare in suo soccorso la possibile guerra con l’Iran. Che poi sia una guerra combattuta in maniera tradizionale o fatta con attacchi mirati a diversi obiettivi dislocati anche al di fuori dei due paesi, poco importa, l’importante è alzare la tensione e distogliere quella dell’opinione pubblica dai guai del presidente in carica. In fondo è un vecchio classico, una storia che si ripete puntuale. Nel 1997 ci fecero pure un film le star di Hollywood su un argomento simile e si intitolava “Wag the dog”, tradotto in italiano maldestramente con “Sesso e potere”.

Gli Stati Uniti uccidendo Qassem Soleimani, una delle figure più importanti dell’Iran, destabilizzano definitivamente una situazione come quella medio orientale già di per sé esplosiva. E perché gli USA fanno un atto così apparentemente scellerato? Perché il nemico è sempre stata la linfa vitale degli USA, che ha nell’apparato militare gigantesco, l’industria più potente. Senza di quella collasserebbero così come collassò l’Unione Sovietica.

E visto che da tempo non c’è più il nemico perfetto del comunismo incarnato dal Patto di Varsavia, bisogna trovare costantemente nuovi nemici con cui mantenere all’infinito la “strategia della tensione” applicata a livello internazionale. Anche perché quando ci sono nemici, veri o inventati che siano non importa, c’è bisogno di duci, di uomini forti che diano sicurezza e ci proteggano dai “cattivi”. E questa dottrina è usata da tutte le forze reazionarie sempre e comunque, come noi in Italia sappiamo purtroppo bene. Gridare al nemico, alle guerre sante, agli infedeli è l’unica “politica” perseguita da estremisti e fanatici di ogni sorta e credo.

Così, con una possibile guerra all’Iran, il cavaliere dell’apocalisse Trump, ottiene quattro risultati: distogliere l’attenzione dai suoi problemi, compattare la gran parte della popolazione attorno al suo condottiero, come spesso succede in occasione di una guerra, aumentare le sue possibilità di essere rieletto e rafforzare commesse e potenza dell’industria che mantiene in piedi gli Usa, cioè quella militare con tutti i suoi legami in ogni settore. Che poi questa politica scellerata comporti lutti, massacri, tragedie e il possibile degenerare in un conflitto di dimensioni mondiali, a Trump poco importa, fa parte della politica stessa del terrore in cui il dolore e la morte di innocenti vittime delle guerre, è solo un effetto collaterale trascurabile. Speriamo che questa ennesima follia si fermi prima dell’irreparabile.

Articolo di Paolo Ermani

Rivisto da Conoscenzealconfine.it

Fonte: http://www.ilcambiamento.it/articoli/per-trump-cosa-c-e-di-meglio-di-una-guerra-per-tirarsi-fuori-dai-guai-ed-essere-rieletto

LA FABBRICA DEL TERRORE MADE IN USA
Origini e obiettivi dell'11 settembre
di Webster Griffin Tarpley

La Fabbrica del Terrore Made in USA

Origini e obiettivi dell'11 settembre

di Webster Griffin Tarpley

Arrivato alla quarta edizione negli Stati Uniti, La Fabbrica del Terrore è un libro che compie un salto di qualità nelle indagini alternative sull'11/9 e sugli altri atti di terrorismo che hanno scosso il mondo negli ultimi anni: dopo le denunce delle molte incongruenze presenti nelle versioni ufficiali, Webster Tarpley offre una ricostruzione riccamente documentata sull'azione dei servizi segreti e dei loro mandanti nel perseguire interessi strategici ben precisi.

Leggere queste pagine significa affacciarsi su un incubo. Gli Stati Uniti sono in mano a un gruppo di pericolosi sovvertitori della pace mondiale. Né il "New York Times", né il "Washington Post" hanno recensito il libro. Si presume che non lo faranno nemmeno i grandi giornali italiani. Che, infatti, hanno tutti mentito sull'11 settembre.
Giulietto Chiesa, parlamentare europeo e giornalista

Con gran rammarico, concludo che questo libro di Tarpley è il più forte tra gli oltre 770 libri da me recensiti su Amazon, quasi tutti di saggistica. Devo concludere chel'11/9 è stato come minimo lasciato accadere come casus belli [...]. Questo libro è, senza dubbio, il principale testo di riferimento moderno sul terrorismo di Stato, e anche il testo dove si suggerisce nel modo più puntuale che gli elementi canaglia nel governo USA [...] sono i più colpevoli di terrorismo di Stato [...] È innegabile che il Governo USA ha voluto uccidere i suoi stessi cittadini e ha voluto costruire attacchi per mobilitare l'opinione pubblica.
Robert D. Steele, ex alto ufficiale della Marina USA e spia della CIA, da sempre repubblicano, imprenditore e teorico dell'Intelligence e docente alla Marine Corps University. È recensore n. 1 della non-fiction di Amazon.com

Tarpley ha creato un genere del tutto nuovo [...] paragonando le tecniche utilizzate dalle agenzie di Intelligence statunitensi nella creazione dell'11/9 e i metodi usati in passato dall'Intelligence USA. [...] Si continuerà a tornare su questo libro per sollevare nuove domande lungo questa linea d'indagine.
Thierry Meyssan, ex segretario nazionale dei radicali di sinistra francesi. Presidente del "Réseau Voltaire", autore dei bestseller L'Incredibile Menzogna e Il Pentagate

Webster Tarpley evidenzia lo strano comportamento di alcuni attentatori delle Torri gemelle... In questi anni quasi tutti abbiamo maturato l'impressione che la storia sia giunta a una repentina svolta o, come si sente spesso ripetere, che da allora il mondo non sia stato più lo stesso.

Un'analisi accurata potrebbe certamente dimostrare come questo sia solo in parte vero, e molte delle situazioni attuali trovino invece ragioni e radici nel ventennio precedente. Tuttavia, comunque la si pensi al proposito, è indubbio che a partire dall'11 settembre 2001 i governi e larga parte dei media occidentali hanno concorso a comunicare all'opinione pubblica l'idea che il mondo occidentale sia ormai sottoposto a una minaccia costante: quella del terrorismo internazionale e degli "stati canaglia" che lo sosterrebbero.

Eppure, al di là dei proclami sull'onnipresenza di Al-Qaeda e dei suoi affiliati, la stessa dinamica e i retroscena dell'11 settembre appaiono oggi tutt'altro che chiariti. In Europa e negli Stati Uniti numerosi saggi (per non parlare dei siti internet) hanno messo in dubbio la versione ufficiale dei fatti.

La fabbrica del terrore, poderosa opera di Webster Griffin Tarpley, non è l'ultimo della serie, in quanto era stato pubblicato già da tempo negli Usa, dove è arrivato alla quarta edizione. Viene ora tradotto in italiano con alcuni adattamenti, dovuti alla necessità di aggiornare costantemente una vicenda che si arricchisce ogni giorno di nuovi particolari.

Tarpley è un esperto del ruolo dei servizi segreti nelle trame politiche; in questa chiave si è occupato in passato anche del terrorismo italiano e in particolare della vicenda Moro. Per quanto riguarda gli States, si ricorda invece una sua monografia sulla famiglia Bush. Come è noto, le pubblicazioni che hanno proposto scenari alternativi a quelli ufficiali sull'11 settembre si sono soffermate sui numerosi aspetti della vicenda che non tornano: l'aereo "invisibile" che avrebbe colpito il Pentagono; la mancata intercettazione degli aerei dirottati; il crollo repentino delle Torri gemelle e dell'edificio 7 del World Trade Center; le personalità e le azioni dei presunti dirottatori nei mesi (se non negli anni) precedenti gli attentati, e così via. Griffin Tarpley prende in considerazione con accuratezza l'insieme del dibattito, affrontando tutti i capitoli oscuri.

La parte più interessante è quella che riguarda i terroristi: alcuni fra loro (in particolare l'egiziano Mohammed Atta e il libanese Ziad Jarrah) sembrano aver avuto dei "doppi", ossia figure che con la medesima identità e aspetto simile vengono segnalati insistentemente in località diverse; per esempio sono negli Stati Uniti mentre i servizi segreti tedeschi li segnalano ad Amburgo.

Le loro capacità di piloti sono scarse, a detta di tutti gli istruttori. Numerosi attentatori, invece di comportarsi come membri di una cellula dormiente, si mettono in evidenza in molti modi: litigi pubblici, ubriachezza molesta, minacce; al punto che, a volte, ci si chiede se stiano davvero preparando un attentato oppure facciano in modo che, dopo, ci si ricordi di loro.

Alcuni si segnalano anche per le frequentazioni di prostitute, locali equivoci, sale da gioco di Las Vegas: comportamenti a dir poco insoliti per fanatici islamisti pronti al suicidio. Il lettore non esperto della questione scoprirà in queste pagine ragioni per sorprendersi; e quello già avvertito del dibattito vi troverà una rassegna puntuale di tutti gli elementi (e sono tanti) che non tornano e non sono stati spiegati.

L'autore non propone soltanto fatti, ma tende a mostrare quali potrebbero essere modalità e ragioni di un attentato che egli dichiara esplicitamente essere made in Usa. Da esperto delle trame imbastite dai servizi, cerca di rintracciarne il possibile ruolo nella vicenda: e non si ferma solo all'11 settembre, ma estende la sua analisi agli atti di terrorismo che hanno colpito fra 2004 e 2005 anche Madrid e Londra.

In entrambi gli episodi ci sono elementi che meriterebbero un chiarimento: per esempio, risulta da un'indagine del quotidiano spagnolo "El Mundo" che alcuni degli attentatori madrileni (molti fra i quali si suicidarono nei giorni successivi) non erano musulmani fondamentalisti e tanto meno una cellula dormiente affiliata ad Al-Qaeda, bensì noti pregiudicati, alcuni per reati di spaccio, almeno un paio dei quali informatori della polizia.

In sintesi Tarpley afferma che l'11 settembre ha rappresentato la presa di potere del gruppo neoconservatore, latore di interessi economici e strategici ben precisi (evidentemente quelli che hanno condotto alle guerre successive), che si configura come una sorta di golpe ai danni dello stesso governo americano.

Non è detto che, alla fine della lettura, ci si trovi d'accordo con ogni sua ipotesi: ma le sue affermazioni e, soprattutto, la mole di dati raccolti meritano la massima attenzione; a maggior ragione perché non si tratta della ricostruzione di vicende che si sono esaurite nella tragedia di sei anni or sono, ma di scenari che continuano ad avere un impatto devastante sul nostro presente e - ci sono fondate ragioni per temerlo - sul nostro futuro.

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