di Andrea Casavecchia
Dal 2015 sono circa 100mila all’anno gli italiani che lasciano l’Italia e per la gran parte sono giovani; nel 2017 il 53,7% dei nostri emigrati ha un’età compresa tra i 18 e i 39 anni.
Ci sono pochi giovani in Italia e non si punta molto su di loro per guardare al futuro. Così può capitare che un ragazzo o una ragazza decida di provare un’esperienza da un’altra parte: quando è ancora adolescente può iscriversi a un progetto per studiare un anno in una scuola all’estero, all’università c’è l’Erasmus, poi perché non provare un anno di volontariato sociale internazionale, oppure qualche esperienza di lavoro al di là dei confini.
Piano piano, da giovani si assaggia un altro clima, un altro contesto socio-economico e culturale, mentre le famiglie accompagnano questo passaggio: qualche mese, un anno, un po’ di tempo fuori casa. E lo sostengono anche a livello economico, se necessario.
Nel recente Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, si dedica uno spazio a questi “Giovani senza confini”. Si rileva che dal 2015 sono circa 100mila all’anno gli italiani che hanno lasciato l’Italia e per la gran parte sono giovani; solo nel 2017 il 53,7% dei nostri emigrati ha un’età compresa tra i 18 e i 39 anni e il 31,1% ha un titolo di studio universtario. Gran parte delle persone che vanno via dall’Italia sono giovani e istruiti. Il fenomeno – osserva l’istituto di ricerca – coinvolge tutto il territorio italiano dalla Lombardia alla Sicilia, dal Veneto al Lazio. Nel 2016 oltre 1 milione e 300mila giovani italiani si dichiarava disponibile a trasferirsi in un altro Paese per lavoro.
Negli ultimi anni sta prendendo consistenza un esodo importante che impoverisce la nostra comunità, avviene in silenzio, una goccia dopo l’altra. Non ci sono più valige di cartone e viaggi di terza classe per attraversare l’oceano o arrivare nel Nord Europa. I nostri giovani costruiscono il loro progetto migratorio in modo molto oculato e tutelati dalle loro famiglie. Certo non tutti saranno diretti verso lavori qualificati, ma ognuno di loro avrà la possibilità di tornare a casa una volta terminata l’esperienza.
Qualche anno fa era uscito un libro dal titolo “Non è un paese per giovani” scritto da Alessandro Rosina ed Elisabetta Ambrosi. Alcuni giovani ne hanno preso atto. La loro reazione non è stata quella di impegnarsi per cambiare la realtà, hanno preferito esplorare nuovi percorsi.
Questo gruppo di giovani che costituiscono una fetta importante dei cosiddetti Millennials, sono scoraggiati, non hanno fiducia di trovare uno spazio per loro. Ma, concretamente, quali sono le prospettive che il nostro Paese offre loro?
Articolo di Andrea Casavecchia