di Francesco Plaino
Le moderne tecnologie digitali stanno influenzando in modo diffuso la nostra percezione del mondo. Molte delle nostre esperienze della vita quotidiana sono anticipate e mediate da un gran numero di dispositivi multimediali. Così, la realtà viene letta, o meglio ri-letta, continuamente attraverso logiche digitali e mediali.
In questo modo, le nuove modalità di comunicazione non solo determinano le nostre aspettative e condizionano le nostre reazioni nei confronti della realtà, ma creano una vera e propria “Iperrealtà“. Quest’ultima, come descritta dal sociologo e filosofo francese Jean Baudrillard, è come un velo che permea la realtà, la quale finisce per perdere valore, soffocata dalla perfezione del digitale.
L’iperrealtà definisce dei modelli che esistono solo in luoghi virtuali, esistono solo in quanto simulazioni. In tal modo, la società delle immagini trova nel mondo digitale e multimediale una sorta di luogo sicuro, virtuale, dove genera una “realtà alternativa” distaccata dall’esperienza umana, senza più riferimenti a essa.
Google Maps, Instagram & Co.
Piattaforme digitali come Google Maps o Instagram influenzano la nostra percezione di una città, di un evento o semplicemente di una immagine. Google Maps definisce i percorsi dei nostri itinerari, mostra foto e dà suggerimenti rispetto a cosa vedere all’interno di una città. Crea aspettative, crea modelli, precedendo la realtà. Presenta foto e informazioni di monumenti, piazze, opere d’arte, luoghi di ritrovo, anticipando le nostre percezioni, molto spesso creando sentimenti e reazioni contraddittorie.
Instagram, del resto, con i suoi filtri e i suoi followers, rappresenta una delle massime espressioni dell’iperrealtà, come perfetta realizzazione della società delle immagini. Non a caso questo, oggi, è il social più popolare. Gran parte delle immagini che passano attraverso questo social sono filtrate e modificate, a volte in modo evidente, talvolta in modo impercettibile. Questo però non impedisce ai followers e al pubblico digitale di celebrare, con piogge di like e commenti, un’immagine sostanzialmente falsa, irreale, ma proprio per questo più affascinante di una realtà ormai privata di ogni interesse. Gli esempi potrebbero continuare, una lunga lista dove potremmo trovare altri prodotti digitali come videogiochi o app per la “realtà aumentata”. L’iper-realtà, come realtà alternativa e predominante, trova sempre più espressioni digitali, sempre più modi di rendere fuori moda tutte le caratteristiche più umane della realtà.
La regia del codice
Il digitale, il codice, rappresenta inevitabilmente il nostro futuro. La sua ascesa grazie a strumenti multimediali – come lo smartphone – e la sua presenza sempre più massiva nel nostro quotidiano, da un lato, ha semplificato (ma è poi così vero…) la nostra vita, il nostro lavoro e le nostre comunicazioni, dall’altro, il codice diverrà il regista del nostro pensiero, delle nostre reazioni, delle nostre possibilità, attraverso la continua rimediazione e codificazione di eventi, informazioni e più in generale dell’intera esperienza umana.
Forse, in un futuro non poi così remoto, parafrasando lo stesso Baudrillard “non ci sarà più né finzione né realtà, l’iperrealtà abolirà entrambe“. Se così fosse, in un mondo in cui la regia del codice sarà ancora più pervasiva e suggestiva, l’uomo potrà sempre affidarsi ai due strumenti che lo hanno reso libero, tanto nei periodi storici più illustri quanto in quelli più bui: il “dubbio” e la “consapevolezza”.
Dubbi e consapevolezze
Il dubbio è una manifestazione di personalità, di presenza, che può stimolare la riflessione negli altri, ma anche permettere di acquisire una propria posizione riguardo a tutti i prodotti tecnologici dell’era digitale. Sostanzialmente, un dubbio metodico è ciò che serve per non alimentare ulteriormente la passività, la fascinazione e la dipendenza che le nuove tecnologie sono in grado di sviluppare nell’uomo.
Dubitare dei new media e delle loro rimediazioni, della società delle immagini, è una azione necessaria per restituire alla realtà e alla natura una posizione rilevante sul palcoscenico delle esperienze umane. La consapevolezza è spesso una conseguenza del dubbio, ma è anche uno stato, un atteggiamento, in cui possiamo essere in grado di rilevare e determinare la regia del codice, riducendo così la sua invasività.
Coltivare la consapevolezza significa costantemente essere curiosi e acquisire informazioni da diverse fonti, senza dipendere da alcuna di esse. La ricerca della consapevolezza porta a non accontentarsi dei titoli, degli hashtag o dei likes, porta a non accettare la realtà come appare e quindi comporta uno sforzo, una proattività verso ciò che non è evidente, verso una verità non data, non digitale, bensì propria.
Articolo di Francesco Plaino
Rivisto da Conoscenzealconfine.it