La premurosa misurazione delle capacità cognitive dei bimbi in difficoltà con la scuola, da parte dello psicologo Alfred Binet, nei primi del Novecento, potrebbe segnare l’inizio di una storia dell’intelligenza dell’età moderna.
A tale metodo, infatti, intorno agli anni ’40, David Wechsler s’ispirò per la costruzione delle prime versioni del cosiddetto test del ‘QI’ (quoziente intellettivo), basato fondamentalmente su quesiti di natura logico- matematica. Quando comparve sulla scena l’intelligenza artificiale che presto, proprio sul piano dell’esecuzione di regole e calcoli, prese a umiliare gli umani, si cominciò a congetturare che l’intelligenza non fosse propriamente o esclusivamente, soluzione di problemi di logica.
Howard Gardner coniò l’espressione “intelligenza multipla” e individuò ben sette tipi specifici di intelligenza, che poi estese al numero di otto e mezzo (quella accettata solo a metà riguarda proprio l’oggetto di questo articolo). Daniel Goleman, con un’opzione poi assai diffusa, contrappose più schematicamente all’intelligenza logica, specifica dell’emisfero sinistro del cervello, l’ “intelligenza emotiva”, del lobo destro. E cosa accadrebbe, si è poi chiesto, qualora potessimo pensare alla sinergia dei due lobi? La risposta di oggi, piuttosto sorprendente e beneaugurante, indica che si accenderebbe l’ “intelligenza spirituale”, un superprocesso di pensiero che, come spiega Richard Griffiths, è correlato alla “sincronizzazione emisferica” e all’attivazione dell’intero cervello.
Così, da qualche anno, si assiste a un fitto e intricato indagare sulla possibilità di una tale intelligenza, che tutti ormai convengono nel denominare “spirituale”, con una scelta degna d’interesse. Il territorio vergine ha attirato già diversi esploratori. Cindy Wigglesworth in “SQ21” (Armenia 2015) ne ha disposto una mappa in quattro quadranti e 21 abilità. Robert Emmons in “Spirituality&Intelligence” ne ha identificato le quattro componenti: senso della trascendenza, senso del sacro, stati di coscienza profondi e uso pratico della spiritualità. Danah Zohar ne ha esposto, in “Spiritual Quotient” i 12 principi e in “Spiritual Capital” ha ricondotto la crisi economica dei nostri tempi ad una più grave crisi spirituale ed elaborato un test di misurazione, il “SIQ”, capostipite di una discreta serie di succedanei.
Anche Stephen Covey, l’ideatore del “principio 10/90” – per cui la nostra vita è composta per un 10% da eventi e per un 90% dalla nostra rielaborazione interiore degli eventi stessi – aveva elogiato l’intelligenza spirituale quale “guida” che dirige tutte le altre intelligenze verso la felicità. Victor Selman in “Spiritual Intelligence Quotient” propone un confronto chiarificante: i computer hanno un QI altissimo perché seguono le regole senza errori; gli animali hanno un QE (quoziente d’intelligenza emotiva) elevatissimo, perché hanno uno speciale senso della situazione; gli umani sono inferiori in entrambi i quozienti, ma sono anche gli unici in grado di farsi domande sulle regole e immaginare situazioni differenti. Computer e animali si muovono benissimo all’interno del gioco; gli umani, grazie all’intelligenza spirituale, possono oltrepassare le delimitazioni e praticare un “gioco infinito e diverso”.
Yosi Amram, dell’Istituto di psicologia transpersonale di Palo Alto, ha coinvolto nell’indagine 71 maestri di diverse tradizioni spirituali (monaci buddisti e cristiani, yogi, sciamani…), riscontrando una convergenza di contenuto oltre le aspettative e giungendo a ratificare ciò che è indicato dal titolo della ricerca stessa: “Le sette dimensioni dell’intelligenza spirituale”. Esse sono: ascolto della coscienza, senso del sacro, sentimento di gratitudine e commozione, ricerca del senso degli eventi, elaborazione/accettazione del negativo, senso di fiducioso abbandono, auto-direzionalità. In questo modo, Amram ha offerto le linee per una “teoria dell’intelligenza spirituale fondata ecumenicamente”. Colui che è capace di praticare l’insieme di queste dimensioni può dirsi un “Einstein della spiritualità”.
In pressoché tutti gli studi, poi, torna, come elemento qualificante, la percezione di essere inscritti in un disegno più ampio, in cui tutto è collegato, e ciò che accade a una parte risuona organicamente, nel bene e nel male, in tutto il resto. Poi sono sopraggiunti gli studi neurologici del fenomeno, gli immancabili corsi di intelligenza spirituale e leadership, i rapporti tra ‘IS’ e benessere psicofisico, lo “spiritual coaching”… E tornano alla mente anche lontani preconizzatori come quell’Eucherio di Lione, padre della Chiesa, che aveva incentrato le sue formule d’intelligenza spirituale sulla capacità di scoprire i sensi molteplici custoditi nelle sacre Scritture. Perché ogni volta che scaturisce un significato in qualunque ambito, là è un soffio dello Spirito.
Una volta scongiurato il rischio di naturalizzare lo spirituale, ovvero di voler riportare a terra ciò che dal basso si eleva (e ci eleva), la nuova area di ricerca può aprire orizzonti e stimolare riflessioni. Specie se, come precisa Francesco Torralba nel suo “Inteligencia Espiritual”, essa è volta, in un’epoca di “anemia spirituale” come la nostra, a stimolare le nuove generazioni con un’educazione integrale, attenta a cogliere tutte le sfumature e i rimandi dell’esistenza.
Fonte: https://universodelsapere.com/2019/04/28/lintelligenza-piena-e-spirituale/