di Sabrina Piergostini
È il più antico DNA umano mai trovato. Lo hanno estratto da un femore scoperto in una grotta spagnola. Ma anzichè aiutare nella comprensione dell’evoluzione umana, questo reperto aggiunge nuovi interrogativi e misteri: risale infatti a 400 mila anni fa e presenta una sequenza genetica non prevista.
Lo studio è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nature. All’inizio, quell’osso era stato attribuito ad un Uomo di Neanderthal – la specie umana più diffusa in Europa fino al 30 mila a.C., quando si estinse per motivi ancora tutti da accertare. Invece il DNA ha raccontato una storia diversa: ha molti punti in contatto con l’Uomo di Denisova. Fino ad oggi, era noto solo grazie alle sequenze genetiche risalenti ad 80 mila fa recuperate da un fossile scoperto in Siberia. Dunque, qualcosa non torna dal punto di vista cronologico e geografico.
Gli scienziati sono ora costretti a ripensare alla nostra evoluzione degli ultimi 400 mila anni. Forse esistevano molti tipi diversi di popolazioni umane che si sono estinte e che non abbiamo ancora scoperto. Potrebbero esserci stati vari mescolamenti genetici, attraverso l’accoppiamento. “Al momento, abbiamo praticamente prodotto un grosso punto interrogativo“, ha ammesso Matthias Meyer, ricercatore di Antropologia evoluzionistica presso il Max Planck Institut di Lipsia, in Germania, e co-autore dello studio.
Le ossa incriminate sono state rinvenute in una grotta denominata “Sima de los Huesos” (“Il pozzo delle ossa”), una cavità scoperta negli anni ’70. Negli ultimi 30 anni di scavi, da questo luogo sono emersi 28 scheletri umani quasi integri, risalenti a centinaia di migliaia di anni fa. “È un luogo davvero speciale”, ha confermato il dottor Juan Luis Arsuaga, paleoantropologo dell’Università Complutense di Madrid, responsabile degli scavi. Finalmente, è stato possibile estrarre il DNA da una di quelle ossa umane così antiche. “Solo un anno fa non saremmo stati in grado di farlo”, ha aggiunto Arsuaga.
Basandosi sull’anatomia del fossile, il docente spagnolo era convinto che appartenesse ad un Neanderthaliano. Tutti si aspettavano che il test genetico confermasse questa ipotesi, ma il campione prelevato dall’osso non corrispondeva. Per questo, Matthias Meyer ha pensato di confrontarlo con il DNA del Denisovano: con sua grande sorpresa, ha scoperto grandi similarità. “All’inizio non potevamo crederci“, ha detto il genetista tedesco. “Abbiamo incrociato i dati più volte, per esserne assolutamente certi.”
Ma la nuova scoperta non collima con l’idea dell’evoluzione umana immaginata finora. Gli antropologi avevano sempre circoscritto questo ominide evolutosi in modo parallelo al Sapiens in una precisa area geografica – l’Asia orientale- ed erano convinti che avesse una morfologia diversa da quella del Neanderthal. Inoltre, sulla base dei ritrovamenti precedenti, ritenevano che un nostro antenato diretto avesse condiviso, con queste altre due specie umane, un comune predecessore arrivato dall’Africa circa 500 mila anni fa.
Le strade dei Neanderthal e dei Denisovo si sarebbero separate 300 mila anni fa, per dare origine a due diverse linee evolutive: i primi si sarebbero stanziati in Occidente, nell’odierna Europa, i secondi ad Oriente, quindi in Asia. Il nostro antenato sarebbe invece rimasto più a lungo in Africa, dove si sarebbe evoluto nell’ Homo Sapiens circa 200 mila anni fa per poi iniziare la sua conquista del mondo: 60 mila anni fa, si diffuse ovunque, incrociandosi con le altre specie che finirono però con l’estinguersi, scomparendo per sempre.
Ma adesso, secondo Arsuaga, bisogna ripensare tutta la nostra storia. Probabilmente l’Uomo di Denisova occupava un territorio molto più vasto del previsto- dalla Siberia fino alla Spagna – ed era molto simile al Neanderthal. Forse, in quella caverna colma di fossili, ci sono gli scheletri dell’antenato comune tra le due specie. Una parte del suo DNA si sarebbe conservato in un tipo di ominide, per scomparire invece nell’altro, rimpiazzato da altre varianti.
Beth Shapiro, esperta di paleogenetica presso l’Università della California a Santa Cruz, è su una posizione più radicale: quei reperti della Sima de Los Huesos apparterebbero ad un altro ramo dell’evoluzione umana, di quella specie detta Homo Erectus, sviluppatasi circa 1.8 milioni di anni fa e scomparsa qualche centinaio di migliaia di anni dopo. “Più sappiamo dal DNA estratto da queste ossa, più il quadro si fa complesso“, ha detto.
È solo da 20 anni a questa parte che la scienza è in grado di analizzare geneticamente i fossili più antichi. Un’operazione piuttosto difficile. Quando un organismo muore, infatti, il suo DNA si disgrega e viene contaminato dal DNA batterico. Ricostruire le sequenze è un po’ come rimettere insieme i cocci di un vaso di cristallo andato in frantumi. Pioniere in questo campo è stato il ricercatore svedese Svante Paabo che nel 1997 è riuscito, per primo, a ricostruire il DNA di un Neanderthal risalente a 40 mila anni fa. L’intero genoma è stato mappato da Paabo, Meyer e da altri colleghi del Max Planck Institut nel 2010.
Sono stati loro a dimostrare – test genetico alla mano – l’ibridazione tra questa specie umana estinta e il Sapiens avvenuta circa 50 mila anni fa. Sempre il centro tedesco ha poi sequenziato il genoma estratto da un dito scoperto in una caverna della Siberia, appurando che si trattava di un gruppo umano distinto e diverso da tutti gli altri, soprannominato da quel momento Homo Denisova, dal nome del luogo del rinvenimento.
Ora, questo fossile spagnolo ha rimescolato tutte le carte in tavola e confuso le idee ai ricercatori. La speranza è di recuperare altro materiale genetico dalla Sima de los Huesos da poter esaminare e dal quale ricavare qualche informazione utile a risolvere l’enigma. “Per ora è estremamente difficile trovare un senso, siamo ancora piuttosto fuori strada”, ha confessato il dottor Meyer.
Articolo di Sabrina Piergostini
Fonte:http://www.extremamente.it/