di Federico Bezzi
I “saggi-burla” sono un tentativo per mettere alla berlina il pregiudizio politico che colpisce gli studi riguardanti razza, genere e sessualità.
Era l’ormai lontano 1996, quando il professore della New York University, Alan Sokal, ingannò il mondo accademico statunitense, proponendo alla rivista sociologica “Social Text” un lunghissimo e contorto articolo-parodia intitolato: “La trasgressione dei confini: verso un’ermeneutica trasformativa della gravità quantistica”.
In questo falso studio, volto a prendersi gioco dei meccanismi di selezione dei contenuti delle riviste culturali, Sokal sosteneva che “la realtà della gravità quantistica” fosse “un costrutto sociale e linguistico”, e proponeva la formazione di una “scienza liberatoria” e di una “matematica emancipatoria” che desse voce e “supporto intellettuale del progetto politico progressista” nel campo della fisica. L’articolo, pieno di frasi e parole senza senso, fu pubblicato.
A ventidue anni di distanza, gli accademici James Lindsay, Helen Pluckrose e Peter Boghossian (foto sotto) hanno ripetuto con successo uno scherzo simile: dall’agosto del 2017 ad oggi, il trio di studiosi ha scritto ben 20 articoli falsi, proponendoli a riviste accademiche di peer-review usando diversi pseudonimi.
Sette di questi articoli sono stati accettati, e ben quattro pubblicati, incluso un articolo contenente oltre 3000 parole tratte dal “Mein Kampf” di Adolf Hitler, mentre altri propongono bizzarre raccomandazioni, del tipo “incatenare i bambini” e “tenere i maschi al guinzaglio”.
Gli accademici hanno dichiarato che i saggi-burla sono “un tentativo per mettere alla berlina il pregiudizio politico che colpisce gli studi riguardanti razza, genere e sessualità”, i quali, a detta loro, “sono viziati da ricerche parziali e metodologie scadenti”.
I loro studi, sottoposti a peer-review e dunque passati al vaglio dal “metodo scientifico”, contengono appositamente diverse posizioni estremiste, inclusi: “incatenare i bambini”privilegiati” come opportunità educativa, e spingere la creazione di un “body building per obesi” nelle gare professioniste, al fine di combattere il pregiudizio contro le persone in sovrappeso.
Uno degli studi, come accennato, contiene un intero capitolo tratto dal “Mein Kampf”, al quale sono stati sostituiti e aggiunti termini come “femminismo neoliberista”, “matrix di dominazione multivariabile” e “alleanza di solidarietà”.
Lo studio più assurdo, che non solo è stato accettato da “Gender, Place, and Culture”, una delle maggiori riviste di “geografia femminista”, ma anche “distinto per eccellenza”, si intitola “La reazione umana alla cultura dello stupro e alla performatività queer nei parchi canini di Portland, Oregon”. La tesi dello studio è la seguente: “i parchi per cani sono spazi dove lo stupro (nei cani) viene condonato, e posti dove è possibile misurare la cultura canina dello stupro e l’attitudine umana verso tali problemi […], in modo che si possano addestrare i maschi a riconoscere la propria predisposizione alla violenza sessuale e al bigottismo”.
Qual è stato lo scopo della loro operazione? Helen Pluckrose ha dichiarato: “crediamo che la cultura nelle aree di studi del genere, della razza e della sessualità siano importanti, ma pensiamo che queste aree contengano diversi ostacoli al raggiungimento di una conoscenza genuina, volta all’ottenimento del progresso sociale”.
Peter Boghossian, professore della Portland State University, ha sostenuto invece di essere stato preso di mira, in passato, per avere sollevato i propri dubbi sulle metodologie di ricerca in questi campi e che “il nostro progetto ha messo in luce la loro corruzione”.
Tutti gli studi in dettaglio sono consultabili nell’articolo di Areo Magazine, mentre su Youtube è disponibile un breve documentario che testimonia il lavoro dei tre studiosi.
Articolo di Federico Bezzi