di Maurizio Blondet
Praticamente tutte le specie animali oggi esistenti, compreso l’uomo, sono apparse sulla Terra allo stesso tempo: fra i 100 mila e i 200 mila anni fa, in un periodo geologicamente breve.
È la stupefacente conclusione cui sono giunti due genetisti, David Thaler dell’università di Basilea, e Mark Stoekle della Rockefeller, analizzando il DNA mitocondriale di 100 mila specie, attualmente viventi nei continenti e negli oceani del globo, e dopo aver esaminato 5 milioni di “codici identificativi” delle suddette specie. Una messe enorme di dati, che rende il risultato indiscutibile.
Questa immensa campionatura, è stata resa possibile da una recente metodologia d’indagine, che esamina il DNA mitocondriale, più facile a decodificare rispetto al DNA del nucleo della cellula, che è proprio di ogni individuo, coi suoi tre miliardi di paia di molecole organizzate in migliaia di geni. I mitocondri sono, nella cellula, i minuscoli “motori” che forniscono energia alla cellula e la fanno respirare: il loro DNA ha solo 37 geni. Uno di essi, detto COI (sigla per cytochrome oxidase I), è stato definito il “codice a barre DNA”, perché identifica alla perfezione la specie cui appartiene, tanto che viene usato per scoprire frodi alimentari, se per esempio nell’hamburger di mucca c’è carne di cavallo, o se nel kebab halal c’è la presenza di maiale.
Il gene COI ha una sequenza genetica assolutamente simile in tutti gli animali, il che lo rende facile da “vedere” e confrontare; d’altra parte, presenta differenti caratteristiche, proprie di ciascuna specie. Insomma è davvero un “codice a barre” che identifica con semplicità e precisione ogni specie animale. Il metodo è anche economico, ciò che ha permesso ai due genetisti di passare in rassegna, in una decina d’anni, appunto 5 milioni di codici a barre di 100 mila specie attualmente viventi.
La prima, stupefacente scoperta dei due genetisti è che non si aspettavano una tale “uniformità” all’interno della stessa specie, e una totale assenza di quelle che loro definiscono “passerelle” fra una specie e l’altra. I loro dati smentiscono definitivamente il mito evoluzionista per cui una specie si sarebbe “evoluta” dall’altra, attraverso ipotetici “anelli di congiunzione” poi estinti. Ogni specie studiata è in modo impressionante “fissa”: una specie “rana” è identica geneticamente sia che viva nei nostri stagni sia nel Mato Grosso, e la specie Homo sia che viva qui che in Cina; le differenze morfologiche, minime, sono indifferenti al loro codice a barre genetico.
L’altra cosa che hanno scoperto, è che la diversità genetica non varia con la numerosità e l’estensione sulla terra di una specie. I manuali evoluzionisti insegnano che più una specie è numerosa, antica e diffusa in zone climatiche differenti, più dovrebbe presentare variazioni genetiche, dovute all’accumularsi di variazioni nel DNA in funzione della sua moltiplicazione attraverso le epoche. Niente di più falso: i 7,5 miliardi di esseri umani, i 500 mila passeri, i centomila beccaccini, hanno all’incirca la stessa diversità genetica: limitatissima.
Da qui la terza e più inattesa scoperta: studiando le variazioni genetiche “neutrali”, le piccole variazioni genetiche del DNA, né dannose né utili, che si succedono e si trasmettono fra generazioni, i genetisti hanno dovuto ammettere che esse sono molto, ma molto meno frequenti di quanto “previsto” dagli evoluzionisti, e per quanto grande sia il numero degli individui che la compongono. Il che non è poi così strano: il DNA è la materia vivente più costante, si “difende attivamente” contro le mutazioni, azzerandole.
Il punto è che gli evoluzionisti si basano su queste variazioni neutrali, che suppongono essere avvenute in cadenze regolari, per determinare l’età di una specie, il momento in cui è apparsa sulla Terra. Un po’ come gli anelli dei vecchi alberi tagliati ne mostrano l’età. Fatti e rifatti i calcoli, i due genetisti sono giunti alla conclusione più clamorosa: che il 90% delle specie oggi viventi sulla Terra, sono nate tutte insieme, 100-200 mila anni fa.
Tutti contemporanei. La massima parte delle specie, siano uccelli, pesci, falene o uomini, sono apparsi così recentemente da non aver avuto tempo di sviluppare molta diversità genetica. La diversità genetica dell’umanità d’oggi è in media dello 0,1%.
Dai “primitivi” rettili ai marsupiali, dagli ovipari ai vivipari, fino all'”evoluto” Homo Sapiens, sono tutti contemporanei: ciò che noi pensiamo sia il risultato di una evoluzione, non lo è. Il rettile non è più primordiale di un mammifero, né un marsupiale più primitivo di un placentato, né gli anfibi ci hanno “preceduto” nel tempo perché meno complessi. Né noi, l’orgogliosa specie Homo, siamo venuti “dopo” il cardellino o la trota. Saremmo nati tutti insieme. In un periodo oltretutto alquanto recente, 200 mila anni fa, o meno.
L’intero regno animale, almeno quello presente oggi, sembra essere apparso insieme sulla Terra. Lo stesso David Thaler, uno dei due autori della scoperta, ammette: “L’ho combattuta finché ho potuto”. Il motivo è ovvio. Non è solo che i risultati della sua scoperta demoliscono ogni possibile teoria evoluzionista, per quanto “riformata” e “corretta” (lo è stata molte volte, dopo Darwin), ma anche la stessa ideologia dell’evoluzione, il pilastro a cui appendono in molti le loro certezze.
Si intravede una certa difficoltà a conciliare questa scoperta con i dati della paleontologia e stratigrafia geologica, che retrodatano la vita di milioni di anni, non di 100-200 mila. Il Cenozoico, in cui appaiono i mammiferi, sarebbe iniziato 6,5 milioni di anni fa. Fino a che punto le datazioni stratigrafiche sono “sicure” e credibili? Fino a che punto la retrodatazione è il presupposto ideologico per dare alla evoluzione “il tempo” di evolversi?
C’è stata forse una estinzione di massa centomila anni fa, che ha ridotto il numero delle specie per lasciar sopravvivere solo quelle che condividono con noi, oggi, il mondo odierno? O una catastrofe non meglio identificata che ha permesso il fiorire di tante specie in uno stesso e breve tempo? Se lo sono chiesto i ricercatori. Ma l’impatto di un asteroide, come quello che avrebbe distrutto i dinosauri (e spazzato via il 70% della vita) 65 milioni di anni fa, non sembra essersi riprodotto in epoca tanto più recente: altrimenti avrebbe lasciato tracce identificabili.
Stoeckle ha imbastito una mezza ipotesi che suona così: “L’interpretazione più semplice è che la vita è in costante evoluzione, e ad ogni epoca dell’evoluzione, gli animali viventi ad un momento dato sono apparsi più o meno nello stesso periodo, con una durata di vita limitata, per poi trasformarsi in qualcos’altro”. Insomma l’evoluzionismo vince sempre.
Articolo di Maurizio Blondet
Fonte originale: https://phe.rockefeller.edu/news/wp-content/uploads/2018/05/Stoeckle-Thaler-Final-reduced.pdf
Negare l’evidenza della evoluzione significa avere gli occhi bendati.
Lo stesso David Thaler, uno dei due autori della scoperta, ammette: “L’ho combattuta finché ho potuto”. Il motivo è ovvio. Non è solo che i risultati della sua scoperta demoliscono ogni possibile teoria evoluzionista, per quanto “riformata” e “corretta” (lo è stata molte volte, dopo Darwin), ma anche la stessa ideologia dell’evoluzione, il pilastro a cui appendono in molti le loro certezze.